Che senso ha essere fotografi oggi PT. 2
Si parlava di compressione…ebbene la compressione è quella procedura digitale per cui un certo contenuto (digitale appunto) viene preso e “processato” in modo da renderlo più “leggero” rispetto a quando era stato creato.
Per fare un esempio pratico con valori a caso possiamo dire che un video di 1 minuto girato con un iPhone può pesare 100 Megabyte. Una volta caricato su Instagram come Reel può essere compresso per “occupare” 10 Megabyte.
Il punto non sono i valori esatto, ma il concetto e il fatto che questa procedura si applica a praticamente tutto quello di cui fruiamo digitalmente al giorno d’oggi:
- Netflix ci fa vedere flussi video compressi
- le foto sui social vengono compresse al caricamento
- la musica in streaming è compressa sia in caricamento sia dalle cuffie Bluetoot etc. etc.
Quindi coloro che creano contenuti digitali (vedi articolo precedente) ad un certo punto si sono trovati a chiedersi: ma perchè diavolo devo girare un video orizzontale con una cinepresa che costa 10 mila euro, che devo editare con un computer da 5000 euro mettendoci 3 ore…quando posso fare una clip verticale con telefono e sbatterla nei Reel ottenendo una visibilità centinaia o migliaia di volte superiore?
Dopo decenni di ricerca della qualità pura, i fotografi hanno dovuto iniziare ad esportare immagini “piccole” perchè i clienti volevano metterle sui social, i videomaker hanno dovuto iniziare a lavorare con flussi video compressi perchè i clienti volevano materiale leggero per le chat aziendali, da allegare alle mail o da usare su YouTube e così via.
Non sto dicendo che TUTTO il sistema funziona così, ma è innegabile che una enorme fetta di mercato si sia convertita all’approccio smartphone-centrico-selfservice.
Ho avuto a che fare di recente con una situazione simile, dove il cliente ha rifiutato in blocco la proposta di produzione “professionale” per avviarsi ad una auto-produzione basata su smartphone. Il risultato è stata la creazione di contenuti quantomeno discutibili e caratterizzati da orizzonti storti, audio gracchiante, riprese controluce e chi più ne ha più ne metta. Eppure il progetto editoriale e il relativo brand vanno comunque avanti…questa cosa onestamente mi sconvolge.
Potrei continuare questa riflessione per giorni e ci sono mille altri aspetti che si potrebbero affrontare ma il fatto è che viene da chiedersi a questo punto che senso abbia lavorare professionalmente con le immagini nel 2024.
Se apro Instagram vengo sommerso di account che sponsorizzano i loro servizi foto e video, col drone, senza drone, di notte, all’estero, per foto di sport, matrimoni, eventi e così via. YouTube è saturo di videomaker di tutti i livelli che fanno corsi e tengono seminari sulla tecnica, sulle luci, sullo storytelling etc.
C’è ancora spazio per nuovi operatori in tutto questo? C’è ancora margine per creare qualcosa? Oppure è stato tutto già detto, fotografato e registrato?
Forse il segreto è tornare indietro, buttare tutte le nostre mirrorless 8K e rispolverare le pellicole dei nostri genitori per ottenere immagini sgranate e mosse che forse a questo punto sono più emozionanti e “umane” rispetto alle radiografie della retina che chiunque oggi può fare con un iPhone.